È stato presentato l’8 novembre col patrocinio di Roma Capitale nella Sala “Pietro da Cortona” del Palazzo Senatorio la nuova edizione rivista e ampliata del libro di Vincenzo Maria de Luca Foibe: una tragedia annunciata. Il lungo addio italiano alla Venezia Giulia (Edizioni Settimo Sigillo, 2012, pp. 250, € 20,00).

Secondo l’autore, gli eccidi del 1943-45 e l’esodo sono la riproposizione di quanto accaduto nell’Adriatico orientale nel VII secolo con le prime invasioni avaro-slave, che causarono (si stima) 200.000 vittime tra le popolazioni autoctone latinizzate e indussero i sopravvissuti a cercare scampo dalla terraferma verso le città fortificate della costa e delle isole. Foriere di future tragedie sarebbero state nel 1918 sia la nascita del Regno dei Serbi, Croati e Sloveni quale baluardo anti-italiano sia l’inclusione nel Regno d’Italia di almeno 400.000 slavi recalcitranti. Le prime amare conseguenze le pagarono i dalmati italiani, costretti a esodare o restare privi dei loro diritti nazionali e soggetti a vessazioni. Temeraria fu nel 1941 l’invasione del Regno di Jugoslavia: «Andavamo a metterci nei guai nei Balcani, in modo irreparabile, convinti di estendere la nostra influenza in quelle terre come contraltare all’egemonia tedesca. Non raccoglieremo altro che odio e maggior rancore nella popolazione slava che ora, in realtà, aggredivamo in maniera esplicita e plateale».

 

La catastrofe dell’8 settembre 1943 compromise «in modo irreparabile l’identità nazionale della Venezia Giulia»: «era quanto si aspettavano i nostri amici e nemici per contendersi quelle terre irredente per le quali tanto sangue era stato versato». «I nostri soldati abbandonarono nelle mani di Tito ingenti quantità di materiale vario ed equipaggiamenti completi, nell’illusoria, ingenua prospettiva di tornare in fretta e salvi a casa. Avessero tenuto ben strette quelle armi ancora per qualche ora, forse i lupi rossi non sarebbero scesi a branchi sulle greggi indifese dell’Istria e della Dalmazia». «A metà settembre 1943 – aggiunge de Luca – l’Istria era irrimediabilmente persa; l’avevamo persa malamente, senza onore»: «né alla monarchia sabauda, né a Badoglio e al suo governo importò di salvare l’Istria e la sua gente dallo straniero». Così, «traditi dai loro stessi connazionali, gli italiani d’Istria dovettero confidare unicamente negli odiati tedeschi e nei pochi reparti fascisti d’élite in armi, per la loro sopravvivenza».


Ma con il Litorale Adriatico i nazisti posero autorità e truppe italiane in posizione subordinata, blandendo invece le popolazioni slave secondo il disegno asburgico del divide et impera. Fra il novembre 1944 e il gennaio ’45 la X Mas contrastò e respinse i titoisti a nord-est di Gorizia, venendo infine costretta dal Gauleiter Reiner ad abbandonare la Venezia Giulia. Intanto il 31 ottobre 1944 Zara era caduta nelle mani degli jugoslavi, i quali uccisero gli stessi repubblichini che avevano favorito il pacifico trapasso dei poteri e molti italiani rimasti.


Fallirono i tentativi di Junio Valerio Borghese di un fronte comune con i partigiani italiani non comunisti, come a Genova e sulle Alpi occidentali, per insorgere contro i tedeschi e opporsi agli jugoslavi. Gli osovani pagarono con la vita la loro disponibilità a un simile accordo patriottico. Constata de Luca: «Nessuno, all’infuori di pochi, odiati reparti nazifascisti, aveva voluto difendere l’Istria. Nessuno aveva voluto guardare oltre e prevedere la minaccia slavo-comunista». Gli alleati si mossero tardivamente: «l’avessero fatto prima, migliaia di italiani non sarebbero stati uccisi dalla follia collettiva comunista». Nel 1945 «Tito impose, più che una pulizia etnica, una vera e propria pulizia politica, con la quale eliminare quanti, italiani e slavi, si fossero opposti alla dittatura del proletariato». L’autore sostiene che è impossibile sapere esattamente quante furono le vittime italiane delle foibe e dei gulag jugoslavi: «negli anni si è cercato di pubblicare degli elenchi, ma il risultato ottenuto non può essere considerato definitivo».


Con riferimento agli esuli istriano-fiumano-dalmati de Luca sottolinea: «Non erano fascisti; non erano accesi nazionalisti né nostalgici. Erano gli ultimi figli di quella sfortunata e dilaniata terra d’Istria, ancora incapace dopo secoli di trovare finalmente un po’ di pace. Erano gli italiani che la cieca e sorda logica comunista aveva posto dinanzi ad un atroce dilemma: rimanere nella nuova patria slava, soccombendo all’inevitabile snazionalizzazione in atto, o andare via per essere per sempre esuli in patria». Il loro fu «un commovente atto d’amore verso una Patria insensibile e ipocrita al punto di accogliere questi suoi figli sfortunati in 109 umilianti campo profughi, frettolosamente allestiti lungo tutta la penisola».
Paolo Radivo

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