TESTIMONIANZA E VOLONTA' DI CAMBIARE
DI SILVIO MAZZAROLI
(Arena di Pola gennaio 2013)
Ancora una volta – e sarà la nona dopo l’istituzione nel 2004 – eccoci giunti alla vigilia della celebrazione del Giorno del Ricordo e delle tante manifestazioni che si terranno in tutta Italia ed all’estero, laddove sono presenti comunità di nostri conterranei, a cavallo del prossimo 10 febbraio, ricorrenza dell’infausto Trattato di Parigi del 1947 che determinò la diaspora del popolo Istriano, Fiumano e Dalmata. Sin dalla sua istituzione – avvenuta per quasi unanime consenso delle forze parlamentari – sulle pagine dell’“Arena” abbiamo più volte espresso apprezzamento per questo provvedimento.
Con le loro testimonianze individuali, tasselli imprescindibili di una più ampia storia comune, essi hanno ampiamente assolto al dovere di fare memoria. È un dovere che, tuttavia, non può considerarsi esaurito ma che sta ora a noi tutti di continuare ad esercitare conservando, alimentando e trasmettendo tali memorie.
Sempre sulle pagine del nostro giornale abbiamo, altresì, ripetutamente affermato che l’istituzione del Giorno del Ricordo non doveva essere considerata come un “punto d’arrivo” bensì rappresentare una solida base da cui ripartire per cercare di far valere i nostri diritti materiali e morali. È doveroso riconoscere che, sotto questo punto di vista, il livello di soddisfazione non è particolarmente elevato relativamente ad entrambi gli aspetti, sia sul piano interno che internazionale. Quanto nel frattempo occorso rimane, infatti, ancora lontano da quanto ragionevolmente auspicabile. In particolare, da una parte persiste lo scontento per il mancato soddisfacimento dei diritti materiali, solo in parte e senza troppa convinzione attenuato dalla consapevolezza che la contingenza economica da tempo attraversata dal nostro paese ci è stata tutt’altro che favorevole; dall’altra è viva l’amarezza nel constatare che al predetto negazionismo si è, nonostante taluni significativi pronunciamenti da parte di eminenti esponenti politici ed istituzionali al di qua ed al di là del confine, sostituito un acrimonioso giustificazionismo, particolarmente virulento proprio in coincidenza con detta ricorrenza e che anche quest’anno non ha mancato e non mancherà di manifestarsi.
Stanti le turbolenze politiche e le vigilie elettorali che interessano Italia, Slovenia e Croazia, appare scontato prevedere che ne vedremo delle belle. È senz’altro quest’ultimo l’aspetto più preoccupante, quello che maggiormente si oppone ad un effettivo cambiamento e che dovrebbe indurci a riflettere e ad un maggiore impegno anche individuale poiché, se le cose non vanno come vorremmo, la colpa non può essere attribuita sempre e solo agli altri.
A tale riguardo, la causa primaria di questa inerzia “politica” al cambiamento è stata individuata da più parti, e ci trova sostanzialmente d’accordo, nell’approccio ideologico-nazionalistico con cui sin qui si è affrontato il problema e che, inevitabilmente, ha portato ad esaltare più gli aspetti che differenziano e contrappongono le parti in causa piuttosto che quelli che ne potrebbero limitare la conflittualità. Allo stesso tempo, molti sono stati coloro che, per il superamento di detta situazione di stallo, hanno individuato ed indicato come unico approccio fattivamente percorribile quello culturale. Forse, però, non a tutti è chiaro come perseguirlo. Un modus operandi lo si potrebbe tuttavia trovare ragionando sul significato del termine cultura di cui, tra le tante, questa semplice definizione sembra particolarmente attagliata al nostro problema: “sintesi armonica delle cognizioni di una persona con la sua sensibilità e le sue esperienze”. Essa evidenzia che fondamento della cultura è in primis la conoscenza che, a sua volta, sta alla base della comprensione delle cose e degli accadimenti.
Venendo al nostro problema è possibile affermare che molto di quanto è successo, se non proprio tutto, è oggi ampiamente noto. È una conoscenza che ha sufficientemente messo in luce le responsabilità delle parti in campo; responsabilità che sin qui è risultato improduttivo prendere in considerazione, per così dire, con “il bilancino”. Ha, soprattutto, evidenziato che su entrambi i versanti la gran massa della gente comune vi è stata coinvolta suo malgrado, per colpe attribuibili ad un numero tutto sommato limitato di individui nonché spesso solo per una indotta temporanea condivisione di certi valori e principi, subendo torti e patendo sofferenze che è lecito pensare pochi vorrebbero veder ripetuti. Si tratta di una considerazione solo in apparenza banale e superficiale e che dovrebbe, invece, indurre alla reciproca comprensione.
Le sensibilità ed esperienze individuali, richiamate nella predetta definizione, per quanto condizionanti della cultura di ciascuno, non dovrebbero costituire ostacolo insormontabile alla reciproca comprensione bensì favorire un dialogo costruttivo, sempreché si riesca a dare ad esse la stessa valenza dall’una e dall’altra parte. Il riuscirci sarebbe non solo un atto di buona volontà ma anche una dimostrazione di raggiunta maturità civile e politica. Una dimostrazione di “cultura”; di quella cultura che tutti indistintamente sosteniamo di possedere ma che, evidentemente, siamo poco propensi ad adoperare come si conviene.
Ecco, il Giorno del Ricordo, per essere fattore di miglioramento e crescita, non dovrebbe essere inteso solo in termini di memorie e rivendicazioni bensì, oltre che di pietas, come già in buona misura è, per le sofferenze di tutti e di ciascuno, anche di impegno al confronto ed al dialogo tra le parti su una base di reciproco rispetto. Affinché quanto è auspicabile accada non rimanga per un ulteriore mezzo secolo semplice utopia, è senza alcun dubbio necessario un impegno ampiamente condiviso.
DIAMOCI DA FARE!
Silvio Mazzaroli